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Non c’era festa o riunione nella Provincia di Taranto che non terminasse con canti e balli, accompagnati dal suono dell’immancabile tamburiedde; la più diffusa era una danza tradizionale conosciuta fin dal Medioevo e detta pizzica pizzica oppure tarantella. Questo ballo veniva eseguito anche in chiave terapeutica
A Taranto e in Puglia in genere, la fantasia popolare, forse fondata su fatti di isterismo, voleva che l’individuo morso dalla tarantola, un ragno variabile nel colore e nelle dimensioni, per poter guarire dagli effetti del morso, dovesse abbandonarsi alla musica e a movimenti sfrenati, il cosiddetto ballo di San Vito. Il tarantismo nelle sue molteplici accezioni era un complesso mitico-rituale che si avvaleva simbolicamente della musica, della danza e dei colori. La taranta avvelenava con il suo morso manifestandosi secondo una varietà di caratteri psicologici che andavano dalle tarante libertine, che trasmettevano comportamenti lascivi, alle tarante tempestose o mute e tristi oppure ancora alle tarante dormienti , che erano resistenti a qualsiasi trattamento esorcistico. La taranta colpiva soprattutto le donne, in particolare quelle in età pubere, le sposate insoddisfatte e le zitelle, le quali, una volta morse, rimanevano “legate” al ragno per tutta la vita. I sintomi della malattia si attenuavano solamente dopo che veniva celebrato il rito attraverso la musica e il ritmo ossessivo degli strumenti, tra cui il violino e il tamburo. La taranta è una danza cantata in movimento vivacissimo, che solitamente si balla in coppia, facendo schioccare le dita a mo’ di nacchere. Tra gli strumenti viene utilizzato il tamburello a sonagli e la suonatrice di tamburello era solita intonare strofette umoristiche oppure amorose, a volte erotiche.