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  • Il testamento del CapitanoCoro
  • Canta: Coro degli Alpini
    Autore: Anonimo - 1918
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Original


Il capitan de la compagnia
e l’è ferito e sta per mori.
El manda a dire ai suoi Alpini
perché lo vengano a ritrovar.

I suoi Alpini ghe manda a dire
che non han scarpe per camminar.
O con le scarpe, o senza scarpe,
i miei Alpini li voglio qua.

Cosa comanda sior capitano,
che noi adesso semo arrivà?
E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia taglià.

Il primo pezzo alla mia Patria,
secondo pezzo al Battaglion.
Il terzo pezzo alla mia Mamma
che si ricordi del suo figliol.

Il quarto pezzo alla mia Bella,
che si ricordi del suo primo amor.
L’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior.

L’ultimo pezzo alle montagne
che lo fioriscano di rose e fior!


Italiano

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Il capitano della compagnia
è ferito e sta per morire.
Manda a dire ai suoi Alpini
che si presentino a lui.

I suoi Alpini gli mandano a dire
che non hanno scarpe per camminare.
O con le scarpe, o senza scarpe,
i miei Alpini li voglio qui.

Cosa comanda signor capitano,
adesso che siamo arrivati?
E io comando che il mio corpo
in cinque pezzi sia tagliato.

Il primo pezzo alla mia Patria,
il secondo pezzo al Battaglione.
Il terzo pezzo alla mia Mamma
perchè si ricordi del suo figliolo.

Il quarto pezzo alla mia Bella,
perchè si ricordi del suo primo amore.
L'ultimo pezzo alle Montagne
perchè lo ricoprano di rose e fiori.

L'ultimo pezzo alle Montagne
perchè lo ricoprano di rose e fior!


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La vera e sicura origine di quello che potremmo definire il più classico, il più nobile fra i canti degli alpini si riscontra nel canto funebre cinquecentesco "Il testamento spirituale del Marchese di Saluzzo". Il Nigra ce ne tramanda le versioni, in piemontese arcaico, ritenute più originali e già nel 1858 traccia dettagliatamente la vicenda storica cui il canto è legato. Michele Antonio, undicesimo marchese di Saluzzo, capitano generale delle armi francesi nel reame di Napoli, mortalmente ferito da un obice durante la difesa della fortezza di Aversa assediata dalla truppe borboniche, nel 1528, esprime le sue ultime volontà ai soldati riuniti attorno al letto di morte. E sarà forse proprio uno di quei soldati l'ignoto autore che riversò nel canto gli ultimi sublimi istanti del capitano, creando una fra le gemme più interessanti del patrimonio epico-lirico italiano, ereditata in seguito dalla tradizione alpina che, all'epoca della 1a Guerra Mondiale (1918), rese popolarissimo il canto in questa versione dove appare un misto tra il dialetto veneto e quello trentino

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