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  • E lucevan le stelleLuciano Pavarotti
  • Canta: il tenore Luciano Pavarotti
    Dall' Opera "Tosca" di Giacomo Puccini - 1900
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Original


E lucevan le stelle
ed olezzava la terra.
Stridea l'uscio dell'orto
e un passo sfiorava la rena.
Entrava ella fragrante
mi cadea fra le braccia.

Oh dolci baci, o languide carezze,
mentr'io fremente
le belle forme
disciogliea dai veli.
Svani per sempre
il sogno mio d'amore.

L'ora é fuggita
e muoio disperato,
e muoio disperato.
E non ho amato
mai tanto la vita.
Tanto la vita!

L'azione si svolge a Roma nell'anno 1800. Il pittore Mario Cavaradossi sta lavorando ad un quadro della Maria Maddalena nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, quando arriva tutto trafelato il suo amico Cesare Ancellotti (già console della Repubblica Romana) che era appena evaso dalle carceri di Castel Sant'Angelo dove era stato imprigionato dal capo della polizia Vitellio Scarpia. Mario, di sentimenti liberali, gli offre rifugio nella propria villa e mette al corrente la sua amante, la famosa cantante Tosca. Ma Scarpia, da tempo invaghito di Tosca, è già sulle tracce dell'evaso e, scoperto tutto, fa arrestare Mario fecendolo poi condannare alla fucilazione. Poco prima di morire Mario, nella sua cella di Castel Sant'Angelo, scrive questi profondi ed intensi versi di amore per la sua amata Tosca.

Tosca è un'opera lirica in tre atti di Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. La prima rappresentazione si tenne a Roma, al Teatro Costanzi, il 14 gennaio 1900.

Il libretto deriva dal dramma La Tosca di Victorien Sardou, rappresentato per la prima volta il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin di Parigi, il cui successo fu legato soprattutto all'interpretazione di Sarah Bernhardt.

Trama
La trama si svolge a Roma nell'atmosfera tesa che segue l'eco degli avvenimenti rivoluzionari in Francia, e la caduta della prima Repubblica Romana in una data ben precisa: martedì 17 giugno 1800, qualche giorno dopo la Battaglia di Marengo.

Atto I
Angelotti (basso), bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, è fuggito dalla prigione di Castel Sant'Angelo e cerca rifugio nella Basilica di Sant'Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile che gli permetterà di passare inosservato. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi (tenore).


Arrivo del Corteo del Te Deum, disegno per Tosca atto 1 (1900).
Quando irrompe nella chiesa un sagrestano (basso), Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando (...e sempre lava...), mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco sopraggiunge per continuare a lavorare al suo dipinto (Recondita armonia...). Il sacrestano finalmente si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce da tempo e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando il piano di fuga, ma l'arrivo di Floria Tosca (soprano), l'amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi di nuovo nella cappella: Mario non può rivelare alla sua amata l'accaduto poiché teme che ella, fervida credente, riveli in confessione la presenza di Angelotti. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso per quella sera (Non la sospiri la nostra casetta...). Poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica (Qual occhio al mondo...), riesce a calmarla e a congedarla.

Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant'Angelo; Cavaradossi decide allora di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando però il ventaglio nella cappella.

La falsa notizia della vittoria delle truppe austriache su Napoleone a Marengo fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita l'indisciplinata cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente sopraggiunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia (baritono), capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta fortemente di Mario, anch'egli bonapartista.

Per riuscire ad incolparlo ed arrestarlo e poter quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l'amante che il programma era sfumato in quanto ella era stata chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l'avvenimento militare (Ed io venivo a lui tutta dogliosa...). Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli.

Atto II

La piattaforma di Castel Sant'Angelo, bozzetto per Tosca atto 3 (s.d.).
Archivio Storico Ricordi
Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa alla presenza del Re e della Regina di Napoli per celebrare la vittoriosa battaglia, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta (tenore) e gli altri gendarmi hanno seguito la furente Tosca fino alla villetta di Mario,dalla quale la donna è tuttavia uscita poco dopo, avendo compreso il grave errore causato dalla sua gelosia. Gli sbirri hanno perquisito a fondo la dimora ma non sono stati in grado di localizzare Angelotti, così arrestano Mario e lo conducono al cospetto di Scarpia. Il pittore, interrogato, si rifiuta di rivelargli il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato.

Tosca, che poco prima aveva eseguito una cantata al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida dell'uomo amato, la cantante rivela a Scarpia il nascondiglio dell'evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo. Mario inneggia ad alta voce alla vittoria e Scarpia lo condanna immediatamente a morte per impiccagione, facendolo condurre via. Più tardi arriva anche la notizia che Angelotti si sia suicidato all'arrivo degli sbirri: Scarpia ordina che il suo cadavere sia impiccato accanto a Cavaradossi. Disperata, Tosca chiede a Scarpia di accordare la grazia a Mario: il barone acconsente solo a patto che lei gli si conceda. Inorridita, la cantante implora il capo della polizia e si rivolge in accorato rimprovero a Dio (Vissi d'arte, vissi d'amore), ma invano: Scarpia è irremovibile e Tosca è costretta a cedere. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d'intesa, fa credere a Tosca che Cavaradossi sarà fintamente giustiziato mediante una fucilazione simulata, con fucili caricati a salve. Dopo aver scritto il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Scarpia si avvicina a Tosca per riscuotere quanto pattuito, ma questa lo colpisce a morte con un coltello trovato sul tavolo. Quindi prende il salvacondotto dalle mani del cadavere, poi, in uno slancio di religiosa pietà, pone due candelabri accanto al corpo di Scarpia, un crocifisso sul suo petto, e finalmente scappa via.

Atto III
È l'alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant'Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un'ultima lettera d'amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla (E lucevan le stelle). La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia, mostrandogli il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Mario però viene fucilato veramente: Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, grida "O Scarpia, avanti a Dio!" e si getta dagli spalti del castello.

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